Ricordi di quest'estate:
Appena terminato l’unica cosa che volevo fare era condividere questa mia lettura con qualcuno, sperando che possa essere scoperta anche da altre persone. Non mi stupisco delle atrocità passate e purtroppo spesso ancora presenti. Non so se è perché mi aspetto il peggio dall’uomo o perché semplicemente sono stata più attenta di altri a notare che la storia parla soprattutto di morti atroci e per questo conoscerne altre non mi sorprende più. Resta però sempre una profonda amarezza, rabbia e delusione che spero non si assopiscano mai, altrimenti si che sarò nei guai! Comunque questa premessa un po’ nera serve a presentarvi la mia immersione tutta d’un fiato di Quaderni Ucraini – Memorie dai tempi dell’URSS di Igort.
Come si intuisce dal titolo i protagonisti dell’opera sono i ricordi e le storie di persone dell’Ucraina che hanno vissuto il Novecento. Si tratta di un libro considerato graphic journalism e che attendeva di essere letto da più di un anno. Sfogliandolo appena arrivato tra le mie grinfie mi è venuta una leggera angoscia. Alcune immagini se non si affronta la storia hanno un forte impatto che mi ha fatto sentire inadeguata alla lettura fino ad oggi. Non so come mai, forse la forte pioggia, forse il forte mal di testa che mi impediva qualunque attività, ma ho ripreso in mano questo fumetto e finalmente ho iniziato a leggerlo.
Il titolo lo definisce un insieme di quaderni ed è proprio di questo che si tratta. Le storie sono una più straziante dell’altra, lo stile di disegno cambia leggermente a seconda di ciò che deve raccontare ed è completamente a servizio delle anime che popolano le pagine. Questi ricordi sono intervallati da documentazioni sulla situazione dell’Ucraina nei vari periodi.
Vorrei potervi spiegare meglio cosa mi ha fatto apprezzare così tanto questo lavoro, ma credo che le parole dell’autore siano le uniche che possono farvi capire:
“Non so, con il tempo mi pare di capire che forse, dopo tutto, abbiamo bisogno di risvegliare il nostro sguardo, il nostro sentire. Sono cresciuto con la generazione che ascoltava Bob Dylan, Leo Ferré, De André, i cantori degli emarginati. Ecco, queste figure, insieme ad altre (penso al Wim Wenders documentarista, o al primo Herzog, a Pasolini o Celati), mi venivano in soccorso mentre disegnavo, mentre scrivevo. Occorreva trovare il tono giusto, un tono intimo, nudo, per raccontare anche le cose difficili. Il patto era: “niente trucchi”. Questa frase ha rimbalzato dentro di me, continuamente, per tutti questi anni. Niente trucchi, le storie non meritavano di essere tradite. Ed è nata una disciplina del racconto che ha essiccato la scrittura e privato il disegno di estetismi che un tempo affascinavano. Si cresce. La vita che impregna le storie è questo, un suono strambo che porta tante cose, magari al principio non lo capisci neppure, che hai incontrato qualcosa di vero e che questo, anche se non sai come, si è depositato nelle tue pagine.
“Non so, con il tempo mi pare di capire che forse, dopo tutto, abbiamo bisogno di risvegliare il nostro sguardo, il nostro sentire. Sono cresciuto con la generazione che ascoltava Bob Dylan, Leo Ferré, De André, i cantori degli emarginati. Ecco, queste figure, insieme ad altre (penso al Wim Wenders documentarista, o al primo Herzog, a Pasolini o Celati), mi venivano in soccorso mentre disegnavo, mentre scrivevo. Occorreva trovare il tono giusto, un tono intimo, nudo, per raccontare anche le cose difficili. Il patto era: “niente trucchi”. Questa frase ha rimbalzato dentro di me, continuamente, per tutti questi anni. Niente trucchi, le storie non meritavano di essere tradite. Ed è nata una disciplina del racconto che ha essiccato la scrittura e privato il disegno di estetismi che un tempo affascinavano. Si cresce. La vita che impregna le storie è questo, un suono strambo che porta tante cose, magari al principio non lo capisci neppure, che hai incontrato qualcosa di vero e che questo, anche se non sai come, si è depositato nelle tue pagine.
Allora sorridi.”
Noi, finita la lettura, non sorridiamo.
Noi, finita la lettura, non sorridiamo.
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