martedì 3 dicembre 2013

Dalla Russia con amore



Primo novembre, è mattina. Non sono neanche le 8:00 che la sveglia già suona. Sono stanchissima, ma mi alzo, faccio colazione velocemente e mi preparo per l’appuntamento: alle 9:00 davanti Palazzo Strozzi. Si fanno i biglietti e si sale per vedere la mostra.

Ritratto di signora in poltrona, Maškov

Il tema di oggi è: L’Avanguardia russa, la Siberia e l’Oriente. Non mi sono precedentemente informata, ho intravisto qualche opera e mi sono buttata a capofitto senza pensarci due volte. E ho fatto proprio bene! Sì, perché alcuni lavori visti sulla carta di cataloghi e manuali sono piuttosto insipidi, ma se la prima volta che li conosci lo fai faccia a faccia tutto cambia. È ciò che accade con Quadro bianco di P. Filonov e, mentre io


mi perdo nel ricco mosaico, il volere dell’autore sembra condurre al Vuoto e all’Assenza cosmica. Lo descrivo alla mia amica come magnetico, una calamita da cui non riesco a togliere lo sguardo: sono sempre alla ricerca del più piccolo dettaglio in questa tela. Guardo da vicino, da lontano, ma non mi svela nulla. Mi cattura e mi ripudia e si sa, quando qualcuno ci rifiuta spesso amiamo tormentarci con l’idea della sua riconquista.

Sono rimasta piacevolmente colpita da questa mostra e devo ammettere che le proposte sono davvero ottime. Non manca però una eccezione negativa: la disposizione delle opere. La lettura prosegue infatti secondo un ordine per niente intuitivo e ci ritroviamo spesso a leggere o vedere opere che nel percorso verrebbero prima e noi scopriamo invece per ultime. Così succede all’inizio con Terror Antiquus di L. Bakst accompagnato da Fra le rovine. Il tempio di Zeus nella tempesta di N. Karazin. Esse rievocano atmosfere cupe e in tumulto, che dovrebbero invece lasciare spazio a scene più idilliache e pacifiche per rincuorare gli animi, mentre noi piuttosto siamo state sballottate tra serenità e irrequietezza in una storia che ha perso il controllo.


Terror Antiquus, L. Bakst

Comunque l’illustrazione di Karazin, insieme alla sua collega con Templi, guglie e cani da guardia meritano davvero un pensierino. Tocco sottile e delicato. Sono degli anni 80-90 dell’Ottocento e sembrano incredibilmente attuali, con dettagli precisi, senza perdere una sola goccia dell’atmosfera del luogo raffigurato. Eppure, per quanto riguarda la seconda, l’autore non ha visitato quei luoghi, si è ispirato ad alcune fotografie e racconta in modo tangibile l’aria tropicale di India e Siam attraverso i loro monumenti caratteristici.

Nei pressi del Templi, incontriamo Danza sacra siamese di Bakst. È la sua unica tela di soggetto orientale e rievoca la Danza delle lanterne svolta da un corpo di ballo della corte reale del Siam. Qui ci soffermiamo incantate dalla luce, dalle ombre, dalle voci che quasi sentiamo (non siamo pazze, tranquilli) perché questo quadro è come una finestra di quel mondo, in cui ti affacci e osservi la scena folkloristica. È mistico. L’atmosfera è palpabile, sembra quasi di vivere in una fiaba.

Danza sacra siamese, Bakst

Lungo il percorso incontriamo vari oggetti, ma uno attrae fortemente la nostra attenzione: la Tara Bianca, detta la Salvatrice. Il soggetto è una delle immagini più comuni per i buddisti buriati, mentre i mongoli consideravano le mogli degli imperatori russi incarnazioni di questa divinità e per tale ragione erano soliti donarlo allo zar. Inizialmente notiamo i dettagli curati (le orecchie, la collana e i vari ornamenti) e la posizione dei piedi che non sembra essere molto comoda. È la posizione del loto che, associato alla Tara Bianca,serve a proclamare la sua natura perfetta. Poi l’occhio si posa sul nastro che volteggia tra le braccia e che sembra davvero poter volare per la sua leggerezza. Questa tara è dinamica. Non ti fissa con staticità, imponendo rispetto, distanza e benevolenza, ma ti invita a danzare con lei, a muoverti e a partecipare.

Per concludere la prima grande sala approdiamo di fronte ad Uccelli esotici di W. Kandinsky, dipinto battezzato così da una Galleria (Tret’jakov). Non sto qui a dilungarmi sul rapporto problematico tra me e questo artista, ma la prima cosa che sento di fare è indicare tutte le figure che individuo: 3 fantasmini dalle ciglia folte, un tronco di palma, un surfista, un pappagallo, delle uova di pasqua colorate, un volto di donna a rovescio ed un profilo d’uomo con i baffi. Il percorso spirituale dell’artista non mi colpisce, mi rimando da sola alla prossima volta per tentare una riappacificazione..forse!

Uccelli esotici, W. Kandinsky

Seconda sala: un miscuglio di lavori la rivestono. Schizzo per la scenografia dei ballettiIslamej” di B. Anisfel’d è stupendo. Così variopinto da farmi sentire di aver immerso il viso in un mare di stoffe, ogni gruppo di figure è compatto e diverso, niente è ben definito ma paradossalmente tutto è chiarissimo e comprendibile. I volti delle donne vestite di bianco insieme alle macchie di colori mi fanno pensare alle matrioske. Lo spettacolo Islamej riprende il tema dalle “Mille e una notte” e i colori vivaci esaltano le scene d’amore e di violenza. 

Dopo un tuffo nei colori vediamo quello che a me ricorda i grafici di geomorfologia dei libri di geografia della mia infanzia. Si tratta di Schema storiografico di A. Belyj e si rifà al trattato da lui scritto sulla formazione della civiltà, dove lo sviluppo della cultura russa è il culmine. Rimango qualche attimo a osservare la figura più riconoscibile ed ecco nella mia mente la comparsa di una nuova eroina che con la spada sconfigge il drago (alla faccia di San Giorgio!).

Schema storiografico, Belyj

Proseguendo nella stanza una teca tiene a bada un boa un poco inquietante che ci osserva con sguardo furbetto, per fortuna è fatto di pietra! Di fronte una scena di caccia su più piani con alcuni strani animali (vedi i cavalli dalla testa spoporzionatissima), al fianco troviamo il dipinto usato come copertina della mostra Ritratto di signora in poltrona di I. Maškov


Nei paraggi S. Sudejkin è rappresentato dal Tappeto orientale: decorazione per danze orientali, un guazzo che nasconde due incantevoli odalische tra i tanti colori. L’artista è noto per le rievocazioni di una Russia ottocentesca che prende vita nelle messe in scena di alcuni spettacoli, ma si occupò anche di illustrazioni di libri e modelli per ricami.


Incontriamo nelle sale successive illustrazioni giapponesi e opere ispirate alla Cina, tra queste delicato ma evidente un acquerello di G. Jakulov intitolato Corsa di cavalli, in cui sperimenta la visione orientale di uno spazio verticale dove i soggetti salgono e scendono, in contrasto con quella occidentale che predilige una prospettiva più lineare, orizzontale.

Un tessuto dipinto in un olio su tela ci attira proprio perché ci ricorda una stoffa, la cui fantasia è il risultato di un insieme di varie grafie come quella cinese o araba. Vorrei davvero poterlo passare sotto la macchina da cucire e inserirlo nel guardaroba!

Prima di arrivare in quella che ho definito “la sala del sole”, P. Končalovskij con Ritratto di famiglia con stampa cinese mi lascia un po’ stranita. Vado ad informarmi e la sproporzione della stampa che risalta troppo sullo lo sfondo è un mezzo che l’artista sfrutta per farci sentire inquieti di fronte all’imitazione di uno spazio dal gusto cinese e giapponese. Una critica che appoggio. Tale stampa accompagna ed esalta i colori protagonisti, che non sono il verde ed il rosso, ma bensì il bianco ed il nero. L’artista era desideroso di utilizzare i colori come aveva visto fare nell’arte spagnola durante un viaggio.

Ritratto di famiglia con stampa cinese, Končalovskij


Quinta sala, un’ esplosione di colori brillanti e luminosi. Il benvenuto ci viene dato da A. Volkov con le sue visioni della vita nelle tende, all’interno e all’esterno per mostrarci le usanze uzbeke. Le persone stanno piegate in posizioni a volte quasi obbligate dalla fine dello spazio, a volte goffamente naturali sui dromedari. Mi sento come un’ospite invitata a osservare luoghi che potrei solo immaginare e così lontani da quelli in cui vivo tutti i giorni.

Ed ecco lì il mio tesoro: Vecchia Ashkhabad di R. Mazel’. Una pepita d’oro in mezzo a pietre colorate. L’artista era “affascinato dalla luce del deserto che si rifrange, e dall’aria permeata da polvere di sabbia”, e si sente. Quest’opera brilla di luce propria e cattura il mio sguardo che rimane piacevolmente incantato da questa scena così quotidiana, così semplice, così calda. La donna sul dromedario risalta, probabilmente perché unica macchia fredda nell’opera. È al centro della nostra visione e prende sempre più consistenza più la si guarda. Al suo fianco altre opere carine e precise, tra le quali Nella jurta dello stesso artista, caratterizzato da una luce calda. Probabilmente questo calore è dovuto al desiderio di rappresentare lo spaesamento della popolazione delle terre fredde che vivono tra steppe e deserti in ambientazioni quasi surreali per la mancanza di tutto, in cui l’orizzonte appare ancora più infinito, come si vede dalla porta della jurta (abitazione dei popoli nomadi asiatici).

Più avanti l’atmosfera austera con scheletri e sacrifici animali ci pervade attraverso pitture di uno stile con contorni molto marcati e al loro interno una distesa piatta e uniforme di colore. I due grandi pannelli di K. Korovin sono i portavoce di una grande installazione di 31 pezzi per il Padiglione russo dell’Exposition Universelle di Parigi del ‘900. Nei loro gelidi soggetti riescono a darmi una sensazione di pace, un po’ eterna, un po’ irreale.

Tra le sculture di legno esposte, quelle di M. Matjušin sono le mie preferite. Venere è una dea piuttosto bizzarra, non mi colpisce di certo per la bellezza che tale nome può vantare, ma appare libera, danzante in un movimento di felicità e non può che far comparire un sorriso sincero. In realtà Matjušin non desiderava ricordare la mitologia greca, cercava invece di rappresentare la primitività più dura. 

Uomo che corre e Donna che danza sono forti espressioni del movimento. La staticità non può essere più lontana. La scelta delle radici come materiale non è casuale, serve ad esprimere la natura del movimento. Respiro la gioia di questi soggetti nel vivere questo momento e mi viene voglia di correre libera per il mondo provando la loro stessa emozione. Eppure, come dicono molti, sono solo sculture! Altro lavoro con la radice, sempre sfruttandone la forma naturale, è Vecchietto danzante di un Anonimo. Mantenendo la forma irregolare, il materiale è stato intagliato e lucidato per far emergere un vecchino cinese dall’espressione felice. Egli rappresenta l’idea taoista di ricerca di lunga vita tramite il miglioramento dell’io interiore. Io mi soffermo molto sui dettagli e qua sono di fronte a delle ciabattine meravigliose, un particolare che potrebbe essere trascurabile, ma a me pare renda perfetta questa radice che così perde la sua rigidità e la sua natura, e diventa materia solamente lavorata dall’artista.

Donna che danza,  Matjušin

All’ultima sala troviamo Eclisse nella Novaja Zemlja nel 1896 di A. Borisov, una grande tela dove in primo piano c'è un enorme ghiacciaio e dietro viene rappresentata un’eclisse solare. In Russia questo fenomeno era connesso al giorno del giudizio e in questo caso si riferisce all’Ottocento che lasciava spazio al Novecento, in un’atmosfera quasi apocalittica. Questa allusione al fuoco e al ghiaccio ci riporta al discorso d’introduzione della mostra e ad un dualismo che si ritrova negli artisti e nella loro terra natia. Ci riporta anche ad un’altra opera vista all’inizio: Cerchio nero di K. Malevč, secondo elemento dell’alfabeto dell’artista ed emblema di un’arte che ricerca la sensibilità pura senza rappresentazione, potrebbe essere un’eclissi totale, ricorrente nel modernismo russo, o il buco nero che ci inghiotte nelle sue profondità. Peccato per la posizione, giusta per tematica, ma da un punto di vista visivo fuori luogo, quando invece dovrebbe essere la protagonista.

Cerchio nero, Malevč

La mostra è talmente ricca di ispirazioni e lavori variegati che non è possibile approfondirli tutti qua perché si creerebbe un discorso infinitamente ampio, ma spero di aver stuzzicato la vostra curiosità verso quel Paese e quella cultura chiamata Russia, così vasta e ricca che pare tanto lontana, ma poi non lo è!

Eclisse nella Novaja Zemlja, Borisov