Al teatro per la terza volta, armata di Pergola26, dopo una
stancante giornata di lavoro mi accingo, in buona compagnia, a sedermi in
platea, fila N posto 229. Dopo un bel po’ di tempo mi trovo nuovamente faccia a
faccia col mio Autore (Svevo) e la sua opera più conosciuta: La Coscienza di
Zeno.
Questa edizione teatrale, curata dal regista Maurizio
Scaparro derivata dall’adattamento degli anni ’60 di Tullio Kezich, ha fatto
riaffiorare alla mia mente i 16 anni di una volta: dopo aver vinto il primo
premio con una tesi a proposito dell’Inetto per eccellenza ad un concorso
letterario e aver lavorato al tema per la tesina del liceo sembra passata Una
Vita.
Avevo sempre immaginato uno Zeno Cosini malinconicamente
joyciano e disperatamente baudelaireiano, quello che invece mi trovo davanti è un
sopravvissuto: lui non crede nella vita, propria o altrui, l’unica certezza è
la morte ineluttabile (Nietzche?) che lui attende, non con angoscia o delirio,
ma in serena rassegnazione (no, forse più un Arlecchino in fin di vita).
Un attore brillante Giuseppe Pambieri che mette in scena un
personaggio per nulla alieno, anzi partecipe delle (nostre) sofferenze. Mentre
tutti intorno si affannano per risolvere la quadratura del cerchio della vita,
lui li segue, e lascia che siano loro a decidere, con disincantato interesse. A
sentir lui è una vita misera la sua, andate a chiederlo a Moll Flanders; no,
Zeno Cosini non ha avuto una misera vita: borghese, agiato grazie ad una
rendita, prende moglie, amante e non si lascia morire.
Forse si lascia vivere, ma non sono questi i problemi, come
lui steso afferma: di fronte al dolore per la propria morte il resto è futile e
menzognero. “La vita non è né bella né brutta, ma originale”, confida ad un
amico, e come si intona alla perfezione la sonata per pianoforte n°11 in la
maggiore K 331 di Mozart suonata da Ada, quasi profetica, rivelatrice del suo
imminente futuro disastrato.
Le donne (primo novecentesche degne di un quadro di Boldini) sembrano
regalarci una panoramica lombrosiana di topoi femminili: troviamo la madre
risoluta, la madre comprensiva, la madre in depressione, la ragazzina,
l’amante, la consolatrice, la piccosa. Alla luce di quanto afferma Freud del
complesso di Edipo, Zeno (Svevo) è ossessionato dalla figura della madre,
innominata ma persistente nella sua ricerca altrove.
Interni Art Nouveau avvolgono l’episodio con precisione e
discrezione, ma più che l’ambientazione è il tempo, il dato più fedele alla
storia scritta: un tempo spezzato, frantumato, interrotto e poi ripreso. La
narrazione prende avvio infatti nello studio dello psicanalista e prosegue con
flashback e ritorni al futuro della vita di Cosini, segnati da quinte che si
chiudono sul tableau vivant dell’attimo appena descritto, per lasciare spazio
allo stream of consciousness del protagonista.
Si può dire sia stato il trionfo dei mezzi toni emozionali,
mai eccessi, tranne forse qualche nota in clausola, tutto questo per merito di
uno Zeno che prende la vita e la accompagna, senza pretese, ambizioni, speranze
o turbamenti. Così si ritrova a pensare alla guerra, che arriva senza il
suo permesso, senza trombette o alabarde, col suono dei cannoni dal Friuli, con
ordigni exrta-umani, macchine stranianti, bombe atomiche.
"Forse
attraverso una catastrofe inaudita prodotta dagli ordigni ritorneremo alla
salute.
Quando i gas velenosi non basteranno più, un uomo fatto come
tutti gli altri, nel segreto di una stanza di questo mondo, inventerà un
esplosivo incomparabile... Ed un altro uomo fatto anche lui come tutti gli
altri, ma degli altri un po' più ammalato, ruberà tale esplosivo e
s'arrampicherà al centro della terra per porlo nel punto ove il suo effetto
sarà massimo.
Ci sarà un'esplosione enorme che nessuno udrà e la terra ritornata alla forma di nebulosa errerà nei cieli priva di parassiti e
malattie"
Svevo conclude il
libro in modo severo con questa riflessione sul futuro dell’umanità legata all’elemento
inanime e alieno; qui Pambieri ci lascia con un senso di poetica nostalgia,
sulle note della Vie En Rose, ennesima beffa del (al) destino.
Uno zeno sicuramente piú simpatico del corrispettivo cartaceo. Pambieri si rivela in possesso di una grande carica auto-ironica, mi ha catturato e fatto tifare per zeno dall'inizio alla fine.
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