Scendiamo nella cripta dove si terrà la celebrazione (rimango
basita dalla bellezza della chiesa, sia in facciata che all’interno) ci sono
due padri domenicani più anziani ed uno di colore, si inizia con un canto, è in
latino, lo intona la signora seduta sulla panca davanti a noi, tiene in mano
uno spartito con le note da cantare, ha una voce così angelica e soave che
vengono i brividi. La messa è quasi interamente cantata ed in latino,
suggestiva ma anche incomprensibile a tratti; finito il rito non rimaniamo per
i Vespri ma decidiamo di uscire per goderci gli ultimi bagliori del sole in
discesa sulle colline fiorentine.
Verso le 19:00 inizia la visita, ci accompagna padre
Bernardo, monaco benedettino olivetano, iniziamo con l’analizzare di volata la
facciata: si vede un campanile, ma quello che colpisce sul
calar della sera è la meravigliosa luna che con Venere risplende dietro alla
chiesa, “haec est porta coeli” questa
trascrizione dal libro della Genesi sta scritta sul portale gemino della abbazia.
Le mura trecentesche tagliano fuori la chiesa dalla vita
cittadina, Ildebrando vescovo di Firenze il 27 aprile di 995 anni fa trova i
resti di una chiesa preromanica in un bosco vicino, forse edificata da Carlo
Magno (il cimitero infatti è il più antico luogo di sepoltura cristiano di
Firenze, risale infatti al 2° o 3° secolo dopo Cristo) in onore del primo
martire Fiorentino: San Miniato appunto, decapitato sul greto dell’Arno per non
rinnegare Dio, il quale poi prende la testa sotto
braccio e si reca sopra il monte. Questa tipologia di Santi Martiri, comuni
nella religione Cristiana, vengono detti autocefaloidi.
L’anno 1000 è strano, tutti si aspettano la fine del mondo,
il vescovo decide di dare nuova vita alla basilica, comanda di costruire una
nuova facciata che sia il simbolo della speranza per il futuro, la Gerusalemme
celeste, un naturale fluire dal passato al futuro. Questa nuovo fronte presenta
vari e diversificati simboli: l’aquila bronzea che poggia su di una balla di
lana a ricordare l’Arte di Calimala (corporazione fiorentina tra le più
potenti, grande mecenate d’arte), il sole con il vaso che rappresenta il
battesimo, in altro troviamo una croce e sotto due figure, uomo e donna,
mangiando un pesce che tengono nella mano per rigenerarsi. In facciata si
possono vedere due volti, quello di Cristo pantocratore per la città (ovvero
benedicente) e quello che si crea con la geometria delle forme, simboli di un
Dio pitagorico ed un Dio uomo che ci chiama per salire a Lui, padre Bernardo
citando Riccardo da San Vittore ci dice “ubi
amor ibi oculus”, ovvero la dinamica dello sguardo d’amore di Dio su di
noi, per cui l’amore è capace di uno
sguardo.
Ci dirigiamo all’interno della chiesa, diamo uno sguardo alla
controfacciata (esprimente il volto di Dio osservato all’esterno derivante
dalla disposizione delle aperture), tutto dentro è molto geometrico, questo
perché il mondo esterno tende alla dissomiglianza,
ci dice Bernardo, mentre invece lo spazio celeste si calibra per somiglianza, il mondo è pieno di
diversità, la Chiesa, Dio invece è simmetria, come diceva Sant’Agostino.
Davanti al portale, sul pavimento, troviamo una grande
circonferenza con lo zodiaco, una delle tre testimonianze di usi e costumi
medievali nella chiesa, infatti secondo quel periodo lo zodiaco aveva la
funzione di segnare il tempo e lo spazio, il cerchio esterno rappresenta il
cielo, mentre il quadrato inscritto la terra, vediamo poi una divisione
stellare che culmina al centro nella figura di Dio, generatore del moto
spazio-temporale. Il primo segno che troviamo, in asse con il portale, è il
Capricorno ovvero quello di Gesu’, davanti sta il Cancro di San Giovanni
Battista, questo il 24 giugno di ogni anno viene illuminato da un raggio di
luce quando il sole è allo zenit.
Altro elemento medievale è l’altare in porfido egiziano
realizzato da Michelozzo per Piero il Gottoso (troviamo infatti l’anello con
diamante simbolo della famiglia Medici di cui Piero faceva parte), si trova in
una edicola con volta robbiana che vuole esprimere il senso ultimo della nostra
esistenza, dove andremo alla fine dei tempi?
Chiude la rassegna medievale la presenza della cripta, e qui
scendiamo per ammirarla per bene dall’interno, è uno spazio scuro, è cuna
discesa sotto terra per andare incontro alla morte, per recarci dalle reliquie
di San Miniato. Quando il sole sorge entra la luce (la chiesa infatti è
orientata ad est, quindi verso oriente, verso la speranza: Gerusalemme) grazie
a tre finestre, simbolo della Trinità, che anticipano e ricordano la luce
pasquale. Dunque dalla facciata, passando poi per il corridoio e finendo nella
cripta si esplica il percorso terreno della vita umana, culminante con la
rinascita in Cristo. Per l’epoca medievale le basiliche sono il luogo per
compendiare il cosmo, la Terra ed il Cielo; secondo la tripartizione terra-sottotera-cielo la Chiesa dialoga
ocn la natura, con l’ingegno dell’uomo e con Dio.
Ci spostiamo adesso al secondo piano, guardandomi intorno vedo
quanta maestria e quanto lavoro sta dietro all’accostamento perfetto di
laterizio, marmo e controsoffitto in capriate lignee. Si arriva intanto nel
Paradiso (in ebraico giardino) dove
il cerchio può dirsi chiuso: abbiamo la Gerusalemme celeste e la civiltà
dell’uomo legati dalla balconata, sulla quale appare un bellissimo decoro con
pesci che tengono fuori i diavoli dalla celeste città, così si instaura un
dialogo, ci si trova a metà tra i due mondi. Nel duecentesco mosaico vediamo al
centro Gesù, a sinistra Maria e a destra San Miniato, la controfacciata ha il
volto di Dio, abbiamo quindi l’alfa e l’omega, il Padre ed il Figlio, legati
dallo Spirito Santo.
Sulla destra un pulpito ed un leggio scolpito con i simboli
dei tre evangelisti (il quarto mancante, il toro o bue, si riteneva venisse
personificato dal vescovo nell’atto di declamare i vangeli con indosso la
mitria, il copricapo bicornuto, che lo faceva assomigliare all’animale simbolo
di Luca) fa da tramite per i due mondi: è proprio attraverso la parola che lo
Spirito potrà scendere sulla Terra.
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