lunedì 6 gennaio 2014

Un insolito San Miniato


Ad Ottobre ho avuto il piacere di visitare la chiesa di San Miniato in compagnia di Joana, del mio fidanzato e del gruppo culturale della banca dove mia mamma lavora. Siamo arrivati il pomeriggio per le 17:30, giusto in tempo per assistere alla messa feriale. Prima però qualche scatto al meraviglioso panorama della città di Firenze, in un fresco e roseo tramonto autunnale.



Scendiamo nella cripta dove si terrà la celebrazione (rimango basita dalla bellezza della chiesa, sia in facciata che all’interno) ci sono due padri domenicani più anziani ed uno di colore, si inizia con un canto, è in latino, lo intona la signora seduta sulla panca davanti a noi, tiene in mano uno spartito con le note da cantare, ha una voce così angelica e soave che vengono i brividi. La messa è quasi interamente cantata ed in latino, suggestiva ma anche incomprensibile a tratti; finito il rito non rimaniamo per i Vespri ma decidiamo di uscire per goderci gli ultimi bagliori del sole in discesa sulle colline fiorentine.



Verso le 19:00 inizia la visita, ci accompagna padre Bernardo, monaco benedettino olivetano, iniziamo con l’analizzare di volata la facciata: si vede un campanile, ma quello che colpisce sul calar della sera è la meravigliosa luna che con Venere risplende dietro alla chiesa, “haec est porta coeli” questa trascrizione dal libro della Genesi sta scritta sul portale gemino della abbazia.



Le mura trecentesche tagliano fuori la chiesa dalla vita cittadina, Ildebrando vescovo di Firenze il 27 aprile di 995 anni fa trova i resti di una chiesa preromanica in un bosco vicino, forse edificata da Carlo Magno (il cimitero infatti è il più antico luogo di sepoltura cristiano di Firenze, risale infatti al 2° o 3° secolo dopo Cristo) in onore del primo martire Fiorentino: San Miniato appunto, decapitato sul greto dell’Arno per non rinnegare Dio, il quale poi prende la testa sotto braccio e si reca sopra il monte. Questa tipologia di Santi Martiri, comuni nella religione Cristiana, vengono detti autocefaloidi.


L’anno 1000 è strano, tutti si aspettano la fine del mondo, il vescovo decide di dare nuova vita alla basilica, comanda di costruire una nuova facciata che sia il simbolo della speranza per il futuro, la Gerusalemme celeste, un naturale fluire dal passato al futuro. Questa nuovo fronte presenta vari e diversificati simboli: l’aquila bronzea che poggia su di una balla di lana a ricordare l’Arte di Calimala (corporazione fiorentina tra le più potenti, grande mecenate d’arte), il sole con il vaso che rappresenta il battesimo, in altro troviamo una croce e sotto due figure, uomo e donna, mangiando un pesce che tengono nella mano per rigenerarsi. In facciata si possono vedere due volti, quello di Cristo pantocratore per la città (ovvero benedicente) e quello che si crea con la geometria delle forme, simboli di un Dio pitagorico ed un Dio uomo che ci chiama per salire a Lui, padre Bernardo citando Riccardo da San Vittore ci dice “ubi amor ibi oculus”, ovvero la dinamica dello sguardo d’amore di Dio su di noi, per cui l’amore è capace di uno sguardo.



Ci dirigiamo all’interno della chiesa, diamo uno sguardo alla controfacciata (esprimente il volto di Dio osservato all’esterno derivante dalla disposizione delle aperture), tutto dentro è molto geometrico, questo perché il mondo esterno tende alla dissomiglianza, ci dice Bernardo, mentre invece lo spazio celeste si calibra per somiglianza, il mondo è pieno di diversità, la Chiesa, Dio invece è simmetria, come diceva Sant’Agostino.


Davanti al portale, sul pavimento, troviamo una grande circonferenza con lo zodiaco, una delle tre testimonianze di usi e costumi medievali nella chiesa, infatti secondo quel periodo lo zodiaco aveva la funzione di segnare il tempo e lo spazio, il cerchio esterno rappresenta il cielo, mentre il quadrato inscritto la terra, vediamo poi una divisione stellare che culmina al centro nella figura di Dio, generatore del moto spazio-temporale. Il primo segno che troviamo, in asse con il portale, è il Capricorno ovvero quello di Gesu’, davanti sta il Cancro di San Giovanni Battista, questo il 24 giugno di ogni anno viene illuminato da un raggio di luce quando il sole è allo zenit.
Altro elemento medievale è l’altare in porfido egiziano realizzato da Michelozzo per Piero il Gottoso (troviamo infatti l’anello con diamante simbolo della famiglia Medici di cui Piero faceva parte), si trova in una edicola con volta robbiana che vuole esprimere il senso ultimo della nostra esistenza, dove andremo alla fine dei tempi?

Chiude la rassegna medievale la presenza della cripta, e qui scendiamo per ammirarla per bene dall’interno, è uno spazio scuro, è cuna discesa sotto terra per andare incontro alla morte, per recarci dalle reliquie di San Miniato. Quando il sole sorge entra la luce (la chiesa infatti è orientata ad est, quindi verso oriente, verso la speranza: Gerusalemme) grazie a tre finestre, simbolo della Trinità, che anticipano e ricordano la luce pasquale. Dunque dalla facciata, passando poi per il corridoio e finendo nella cripta si esplica il percorso terreno della vita umana, culminante con la rinascita in Cristo. Per l’epoca medievale le basiliche sono il luogo per compendiare il cosmo, la Terra ed il Cielo; secondo la tripartizione terra-sottotera-cielo la Chiesa dialoga ocn la natura, con l’ingegno dell’uomo e con Dio.


Ci spostiamo adesso al secondo piano, guardandomi intorno vedo quanta maestria e quanto lavoro sta dietro all’accostamento perfetto di laterizio, marmo e controsoffitto in capriate lignee. Si arriva intanto nel Paradiso (in ebraico giardino) dove il cerchio può dirsi chiuso: abbiamo la Gerusalemme celeste e la civiltà dell’uomo legati dalla balconata, sulla quale appare un bellissimo decoro con pesci che tengono fuori i diavoli dalla celeste città, così si instaura un dialogo, ci si trova a metà tra i due mondi. Nel duecentesco mosaico vediamo al centro Gesù, a sinistra Maria e a destra San Miniato, la controfacciata ha il volto di Dio, abbiamo quindi l’alfa e l’omega, il Padre ed il Figlio, legati dallo Spirito Santo.



Sulla destra un pulpito ed un leggio scolpito con i simboli dei tre evangelisti (il quarto mancante, il toro o bue, si riteneva venisse personificato dal vescovo nell’atto di declamare i vangeli con indosso la mitria, il copricapo bicornuto, che lo faceva assomigliare all’animale simbolo di Luca) fa da tramite per i due mondi: è proprio attraverso la parola che lo Spirito potrà scendere sulla Terra.


Ci lasciamo con padre Bernardo verso le 20:10, un breve ma intenso ed interessante incontro tra arte e spiritualità in una delle chiese simbolo di Firenze: San Miniato al Monte.










Vi lascio con alcune foto della visita e vi auguro una buona Epifania!
















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