Primo novembre, è mattina. Non sono neanche le 8:00 che la
sveglia già suona. Sono stanchissima, ma mi alzo, faccio colazione velocemente
e mi preparo per l’appuntamento: alle 9:00 davanti Palazzo Strozzi. Si fanno i
biglietti e si sale per vedere la mostra.
Ritratto di signora in poltrona, Maškov |
Il tema di oggi è: L’Avanguardia russa, la Siberia e
l’Oriente. Non mi sono precedentemente informata, ho intravisto qualche opera e
mi sono buttata a capofitto senza pensarci due volte. E ho fatto proprio bene!
Sì, perché alcuni lavori visti sulla carta di cataloghi e manuali sono
piuttosto insipidi, ma se la prima volta che li conosci lo fai faccia a faccia
tutto cambia. È ciò che accade con Quadro
bianco di P. Filonov e, mentre io
mi perdo nel ricco mosaico, il volere dell’autore sembra condurre al Vuoto e all’Assenza cosmica. Lo descrivo alla mia amica come magnetico, una calamita da cui non riesco a togliere lo sguardo: sono sempre alla ricerca del più piccolo dettaglio in questa tela. Guardo da vicino, da lontano, ma non mi svela nulla. Mi cattura e mi ripudia e si sa, quando qualcuno ci rifiuta spesso amiamo tormentarci con l’idea della sua riconquista.
mi perdo nel ricco mosaico, il volere dell’autore sembra condurre al Vuoto e all’Assenza cosmica. Lo descrivo alla mia amica come magnetico, una calamita da cui non riesco a togliere lo sguardo: sono sempre alla ricerca del più piccolo dettaglio in questa tela. Guardo da vicino, da lontano, ma non mi svela nulla. Mi cattura e mi ripudia e si sa, quando qualcuno ci rifiuta spesso amiamo tormentarci con l’idea della sua riconquista.
Sono rimasta piacevolmente colpita da questa mostra e devo
ammettere che le proposte sono davvero ottime. Non manca però una eccezione
negativa: la disposizione delle opere. La lettura prosegue infatti secondo un
ordine per niente intuitivo e ci ritroviamo spesso a leggere o vedere opere che
nel percorso verrebbero prima e noi scopriamo invece per ultime. Così succede all’inizio
con Terror Antiquus di L. Bakst accompagnato da Fra le rovine. Il tempio di Zeus nella
tempesta di N. Karazin. Esse rievocano
atmosfere cupe e in tumulto, che dovrebbero invece lasciare spazio a scene più
idilliache e pacifiche per rincuorare gli animi, mentre noi piuttosto siamo
state sballottate tra serenità e irrequietezza in una storia che ha perso il
controllo.
Terror Antiquus, L. Bakst |
Comunque l’illustrazione di Karazin, insieme alla sua collega con Templi, guglie e cani da guardia meritano davvero un pensierino.
Tocco sottile e delicato. Sono degli anni 80-90 dell’Ottocento e sembrano
incredibilmente attuali, con dettagli precisi, senza perdere una sola goccia
dell’atmosfera del luogo raffigurato. Eppure, per quanto riguarda la seconda,
l’autore non ha visitato quei luoghi, si è ispirato ad alcune fotografie e racconta in modo
tangibile l’aria tropicale di India e Siam attraverso i loro monumenti
caratteristici.
Nei pressi del Templi,
incontriamo Danza sacra siamese di Bakst. È la sua unica tela di soggetto
orientale e rievoca la Danza delle lanterne svolta da un corpo di ballo della corte reale del Siam. Qui ci soffermiamo
incantate dalla luce, dalle ombre, dalle voci che quasi sentiamo (non siamo
pazze, tranquilli) perché questo quadro è come una finestra di quel mondo, in
cui ti affacci e osservi la scena folkloristica. È mistico. L’atmosfera è
palpabile, sembra quasi di vivere in una fiaba.
Danza sacra siamese, Bakst |
Lungo il percorso incontriamo vari oggetti, ma uno attrae
fortemente la nostra attenzione: la Tara
Bianca, detta la Salvatrice. Il soggetto è una delle immagini più comuni
per i buddisti buriati, mentre i
mongoli consideravano le mogli degli imperatori russi incarnazioni di questa divinità
e per tale ragione erano soliti donarlo allo zar. Inizialmente notiamo i
dettagli curati (le orecchie, la collana e i vari ornamenti) e la posizione dei
piedi che non sembra essere molto comoda. È la posizione del loto che,
associato alla Tara Bianca,serve a proclamare la sua natura perfetta. Poi
l’occhio si posa sul nastro che volteggia tra le braccia e che sembra davvero
poter volare per la sua leggerezza. Questa tara è dinamica. Non ti fissa con
staticità, imponendo rispetto, distanza e benevolenza, ma ti invita a danzare
con lei, a muoverti e a partecipare.
Per concludere la prima grande sala approdiamo di fronte ad Uccelli esotici di W. Kandinsky, dipinto battezzato così da una Galleria (Tret’jakov).
Non sto qui a dilungarmi sul rapporto problematico tra me e questo artista, ma
la prima cosa che sento di fare è indicare tutte le figure che
individuo: 3 fantasmini dalle ciglia folte, un tronco di palma, un surfista,
un pappagallo, delle uova di pasqua colorate, un volto di donna a rovescio ed
un profilo d’uomo con i baffi. Il percorso spirituale dell’artista non mi
colpisce, mi rimando da sola alla prossima volta per tentare una
riappacificazione..forse!
Uccelli esotici, W. Kandinsky |
Seconda sala: un miscuglio di lavori la rivestono. Schizzo
per la scenografia dei balletti “Islamej”
di B. Anisfel’d è stupendo. Così
variopinto da farmi sentire di aver immerso il viso in un mare di stoffe, ogni
gruppo di figure è compatto e diverso, niente è ben definito ma paradossalmente
tutto è chiarissimo e comprendibile. I volti delle donne vestite di bianco
insieme alle macchie di colori mi fanno pensare alle matrioske. Lo spettacolo
Islamej riprende il tema dalle “Mille e una notte” e i colori vivaci esaltano
le scene d’amore e di violenza.
Dopo un tuffo nei colori vediamo quello che a me ricorda i
grafici di geomorfologia dei libri di geografia della mia infanzia. Si tratta
di Schema storiografico di A. Belyj e si rifà al trattato da lui
scritto sulla formazione della civiltà, dove lo sviluppo della cultura russa è
il culmine. Rimango qualche attimo a osservare la figura più riconoscibile ed
ecco nella mia mente la comparsa di una nuova eroina che con la spada sconfigge
il drago (alla faccia di San Giorgio!).
Schema storiografico, Belyj |
Proseguendo nella stanza una teca tiene a bada un boa un poco
inquietante che ci osserva con sguardo furbetto, per fortuna è fatto di pietra!
Di fronte una scena di caccia su più piani con alcuni strani animali (vedi i
cavalli dalla testa spoporzionatissima), al fianco troviamo il dipinto usato
come copertina della mostra Ritratto di
signora in poltrona di I. Maškov.
Nei paraggi S. Sudejkin
è rappresentato dal Tappeto orientale:
decorazione per danze orientali, un guazzo che
nasconde due incantevoli odalische tra i tanti colori. L’artista è noto per le
rievocazioni di una Russia ottocentesca che prende vita nelle messe in scena di
alcuni spettacoli, ma si occupò anche di illustrazioni di libri e modelli per
ricami.
Incontriamo nelle sale successive illustrazioni giapponesi e
opere ispirate alla Cina, tra queste delicato ma evidente un acquerello di G. Jakulov intitolato Corsa di cavalli, in cui sperimenta la
visione orientale di uno spazio verticale dove i soggetti salgono e scendono, in
contrasto con quella occidentale che predilige una prospettiva più lineare,
orizzontale.
Un tessuto dipinto in un olio su tela ci attira proprio
perché ci ricorda una stoffa, la cui fantasia è il risultato di un insieme di
varie grafie come quella cinese o araba. Vorrei davvero poterlo passare sotto
la macchina da cucire e inserirlo nel guardaroba!
Prima
di arrivare in quella che ho definito “la sala del sole”, P. Končalovskij con Ritratto
di famiglia con stampa cinese mi lascia un po’ stranita. Vado ad informarmi
e la sproporzione della stampa che risalta troppo sullo lo sfondo è un mezzo
che l’artista sfrutta per farci sentire inquieti di fronte all’imitazione di
uno spazio dal gusto cinese e giapponese. Una critica che appoggio. Tale stampa
accompagna ed esalta i colori protagonisti, che non sono il verde ed il rosso,
ma bensì il bianco ed il nero. L’artista era desideroso di utilizzare i colori
come aveva visto fare nell’arte spagnola durante un viaggio.
Ritratto di famiglia con stampa cinese, Končalovskij |
Quinta sala, un’ esplosione di colori brillanti e luminosi.
Il benvenuto ci viene dato da A. Volkov
con le sue visioni della vita nelle tende, all’interno e all’esterno per
mostrarci le usanze uzbeke. Le persone stanno piegate in posizioni a volte
quasi obbligate dalla fine dello spazio, a volte goffamente naturali sui
dromedari. Mi sento come un’ospite invitata a osservare luoghi che potrei solo
immaginare e così lontani da quelli in cui vivo tutti i giorni.
Ed ecco lì il mio tesoro: Vecchia
Ashkhabad di R. Mazel’. Una
pepita d’oro in mezzo a pietre colorate. L’artista era “affascinato dalla luce del deserto che si rifrange, e dall’aria
permeata da polvere di sabbia”, e si sente. Quest’opera brilla di luce
propria e cattura il mio sguardo che rimane piacevolmente incantato da questa
scena così quotidiana, così semplice, così calda. La donna sul dromedario
risalta, probabilmente perché unica macchia fredda nell’opera. È al centro
della nostra visione e prende sempre più consistenza più la si guarda. Al
suo fianco altre opere carine e precise, tra le quali Nella jurta dello stesso artista, caratterizzato da una luce calda.
Probabilmente questo calore è dovuto al desiderio di rappresentare lo
spaesamento della popolazione delle terre fredde che
vivono tra steppe e deserti in ambientazioni quasi surreali per la mancanza di
tutto, in cui l’orizzonte appare ancora più infinito, come si vede dalla porta della
jurta (abitazione dei popoli nomadi asiatici).
Più avanti l’atmosfera austera con scheletri e sacrifici
animali ci pervade attraverso pitture di uno stile con contorni molto marcati e
al loro interno una distesa piatta e uniforme di colore. I due grandi pannelli di
K. Korovin sono i portavoce di una
grande installazione di 31 pezzi per il Padiglione russo dell’Exposition
Universelle di Parigi del ‘900. Nei loro gelidi soggetti riescono a darmi una
sensazione di pace, un po’ eterna, un po’ irreale.
Tra le sculture di legno esposte, quelle di M. Matjušin sono le mie preferite. Venere è una dea piuttosto bizzarra, non
mi colpisce di certo per la bellezza che tale nome può vantare, ma appare
libera, danzante in un movimento di felicità e non può che far comparire un
sorriso sincero. In realtà Matjušin non
desiderava ricordare la mitologia greca, cercava invece di rappresentare la
primitività più dura.
Uomo che corre e Donna che danza sono forti espressioni
del movimento. La staticità non può essere più lontana. La scelta delle radici
come materiale non è casuale, serve ad esprimere la natura del movimento. Respiro
la gioia di questi soggetti nel vivere questo momento e mi viene voglia di
correre libera per il mondo provando la loro stessa emozione. Eppure, come dicono
molti, sono solo sculture! Altro lavoro con la radice, sempre sfruttandone la
forma naturale, è Vecchietto danzante
di un Anonimo. Mantenendo la forma irregolare, il materiale è stato intagliato
e lucidato per far emergere un vecchino cinese dall’espressione felice. Egli
rappresenta l’idea taoista di ricerca di lunga vita tramite il miglioramento
dell’io interiore. Io mi soffermo molto sui dettagli e qua sono di fronte a
delle ciabattine meravigliose, un particolare che potrebbe essere trascurabile,
ma a me pare renda perfetta questa radice che così perde la sua rigidità e la
sua natura, e diventa materia solamente lavorata dall’artista.
Donna che danza, Matjušin |
All’ultima sala troviamo Eclisse
nella Novaja Zemlja nel 1896 di A. Borisov,
una grande tela dove in primo piano c'è un enorme ghiacciaio e dietro viene
rappresentata un’eclisse solare. In Russia questo fenomeno era connesso al
giorno del giudizio e in questo caso si riferisce all’Ottocento che lasciava
spazio al Novecento, in un’atmosfera quasi apocalittica. Questa allusione al
fuoco e al ghiaccio ci riporta al discorso d’introduzione della mostra e ad un
dualismo che si ritrova negli artisti e nella loro terra natia. Ci riporta
anche ad un’altra opera vista all’inizio: Cerchio
nero di K. Malevč, secondo elemento
dell’alfabeto dell’artista ed emblema di un’arte che ricerca la sensibilità
pura senza rappresentazione, potrebbe essere un’eclissi totale, ricorrente nel
modernismo russo, o il buco nero che ci inghiotte nelle sue profondità. Peccato
per la posizione, giusta per tematica, ma da un punto di vista visivo fuori
luogo, quando invece dovrebbe essere la protagonista.
Cerchio nero, Malevč |
La mostra è talmente ricca di ispirazioni e lavori variegati che
non è possibile approfondirli tutti qua perché si creerebbe un discorso infinitamente
ampio, ma spero di aver stuzzicato la vostra curiosità verso quel Paese e
quella cultura chiamata Russia, così vasta e ricca che pare tanto lontana, ma
poi non lo è!
Eclisse nella Novaja Zemlja, Borisov |