Tra
i vantaggi che Venezia offre come città universitaria, c’è quello della “Giovani a Teatro card”; gratuita per i
giovani che studiano o risiedono nella provincia, rinnovabile annualmente, la
proposta culturale che essa offre è molto ampia: non solo sconti su mostre
temporanee di arte, fotografia o sugli ingressi ai musei, ma, come suggerito
dal nome stesso, la possibilità di andare a teatro pagando soli 2.50 €. Posti
prenotabili, benché limitati, per ogni spettacolo “contemplato” dal ricco
cartellone: si va dal Teatro Goldoni al Teatro Ca’Foscari a Santa Marta. È
proprio qui che, martedì 10 dicembre, ho assistito alla rappresentazione di cui
vorrei brevemente parlarvi oggi.
“Sospiro d’anima. La storia di Rosa”:
questo il suo titolo.
Rosa
Cantoni nasce a Pasian di Prato, in provincia di Udine, nel 1913; durante gli
anni della Resistenza sceglie di farsi partigiana, ma, tradita da un compagno,
viene arrestata dai fascisti nel 1944 e deportata nel campo di concentramento
di Ravensbrück, Germania. Riuscirà a fuggire insieme ad altre donne nell’aprile
1945, durante una marcia della morte, e a far ritorno a Udine.
In
quegli anni, la sua è una vita segnata da avvenimenti comuni a quelli di tante
altre esistenze. Niente di speciale, dunque. Eppure, fra le tante, questa
storia mi ha coinvolta: merito di Aida Talliente, che ha incontrato Rosa, scomparsa nel gennaio 2009, e ne ha raccolto la
testimonianza per realizzare infine questo spettacolo in suo onore, di cui è sia interprete che regista.
Una
donna, la schiena curva, fa la sua entrata in scena: canta in friulano, in un
sussurro di voce appena percettibile. La sceneggiatura è minima, essenziale, ma
ha una profonda potenza evocativa; sul palco pochi oggetti: al centro di quel
che io definirei un cerchio “sacro”, fatto di pietre e lumini accesi, stanno un
albero spoglio e, ai suoi piedi, qualche scatola accomodata a formare un
appoggio, sul quale la vecchia Rosa si siede e inizia a raccontare. È
accompagnata da un giovane, silenzioso e sorridente, che siede fuori da questo
spazio e tiene in braccio una fisarmonica.
Da
subito, abbandonandosi con fiducia all narrazione, condivide con noi i suoi
ricordi e da una delle scatole estrae alcune vecchie fotografie: sono immagini
in bianco e nero che la ritraggono giovane, in compagnia della famiglia e dei
tre fratelli. Ci parla di loro con amore e nostalgia; si sporge dal palco,
superando appena il confine del cerchio, e le consegna al pubblico seduto in
prima fila affinché possiamo ammirarle e toccarle con mano anche noi spettatori:
sono passati solo pochi minuti dall’inizio dello spettacolo e già mi sembra di
non trovarmi più a teatro, bensì nel salotto di casa, di fronte a mia nonna che
un po’ cuce e un po’ sfoglia vecchi e polverosi album di famiglia.
Il
salto temporale è fulmineo: da vecchia e piena di ricordi, Rosa torna
improvvisamente giovane, scattante e piena di vita, durante gli anni dell’avvento
del fascismo. Magistrale Aida, in questo continuo scivolare tra passato e
presente, forza e dolcezza, energia e lentezza: non è che un monologo, eppure sulla scena sembra di veder agire decine di personaggi; il suo è un muoversi
sul palco in grado di stimolare l’immaginazione del pubblico, la sua gestualità
sembra creare e comunicare più di quanto una dettagliata sceneggiatura riuscirebbe
a fare. Complice senz’altro il vivace accompagnamento musicale che scandisce lo
svolgersi degli eventi: davanti ai nostri occhi scorrono parate fasciste, il
lavoro delle donne in fabbrica, l’entusiasmo di una giovane che dapprima si
dedica alla poesia (“Il mondo intero ha
bisogno di grande poesia e io ne devo scrivere talmente tante che devo arrivare
a legarle e cucirle insieme per non perderle. Parole e pensieri possono cambiare
il mondo!”) e poi sceglie, alla caduta del Duce, di sposare la causa della
Resistenza.
Nell’aria
si diffonde un intenso e familiare aroma: da una delle scatole Rosa estrae una
grande moka, versa il caffè in alcune tazzine e offre anch'esse al pubblico delle prime
file. Ci recita in friulano una delle sue poesie, “Pinsirs”, ma noi abbiamo sottomano il
testo in italiano.
Pensieri
Il
cielo è bello, sereno
Una
brezza viene
Dondola
foglie e fiori
Che
mandano profumi buoni…
Sussurri e voli d’uccelli.
Silenzio
attorno…
Lontano
qualche rumore.
Qualcosa
si sveglia nel cuore
E
ti riporta indietro
Da piccola in poi.
Rivedi
il tempo passato
E
tutto ciò che è stato:
gli
occhi azzurri della madre,
la
presenza del padre,
i tuoi tre fratelli.
Il
tempo è veloce, corre
Ha
portato via anche loro
Che
dentro ti hanno lasciato
Il
ricordo mai cancellato
Della via fatta insieme.
Vengono
anche i pensieri
Di
tanti, morti e vivi
Compagni
di quelle azioni
Di
lotte e passioni
Per far sì che il Mondo sia
Migliore.
Dolori
dunque e allegrie,
speranze,
malinconie,
battaglie
vinte e no,
così
è la tua vita
che il tempo porta via.
(Rosa
Cantoni, 1993)
L’atmosfera
rilassata ma festosa che si è venuta a creare, viene interrotta bruscamente dalla
drammatica descrizione dell’arresto e della deportazione: il ritmo incalzante
con cui Rosa sceglie di raccontarcelo evoca lo scorrere inarrestabile ed
insensato di quel treno che, dopo un viaggio di durata incalcolabile, la
conduce fino in Germania. Inevitabile la commozione generata dal suo tentativo
di comunicarci la terribile spersonalizzazione operata dalla vita (che non è
più vita) del campo:
“si perdono i
pensieri, non si pensa più…e io non riesco più a legarli e a cucirli insieme, i
miei pensieri, perché io non son più io, non son più giovane, né vecchia…e fa
freddo, è inverno qui. Allora bisognerebbe fare una cosa che qui non si può
fare…allora io penso, se posso pensare, mi metto qui di nascosto, nella
baracca, e penso che, se non penso, muoio: allora, io penso.”
Tuttavia,
una nuova primavera la attende: con una danza fatta di salti di pura gioia, lo
spettacolo si conclude; i lumini che compongono il perimetro dello “spazio
sacro” illuminano ognuno una scatola, un ricordo. È il momento in cui Rosa può
finalmente andare, “dove non si sa!”,
ma le luci restano accese, così come lo erano all’inizio: “l’ho portata per voi, ecco, la mia vita! Da dire ancora un’ultima
volta, prima di andare…[…]prima che qui torni il silenzio…ecco, lo sentite,
voi, il silenzio?”.
Uno spettacolo che, nella sua forza, nella sua semplicità, rimanda all'importanza del passato: chiudere gli occhi dinanzi ad esso significherebbe fare lo stesso anche nei confronti del presente.
Informazioni varie ed eventuali:
La Giovani a Teatro Card: http://www.giovaniateatro.it/
Il blog di Aida Talliente: http://aidatalliente.blogspot.it/
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