Eccomi di nuovo con un racconto dalla Pergola, altro
appuntamento teatrale di questa rubrica, oggi vi parlerò dello spettacolo che
ho visto giovedì 28 novembre scorso.
OneMan, Two Guvnors |
Protagonista e regista è Pierfrancesco Favino, attore di
bravura indiscussa nel panorama italiano, la rappresentazione è tratta da una
commedia inglese del regista Richard Bean intitolata “One Man, Two
Guvnors” del 2011, a sua volta adattamento da Carlo Goldoni de “Il
servitore di due padroni”, 1745. Queste influenze le sentiamo entrambe: Bean
trasuda dall’ironia e dalla comicità spontanea, sembra quasi di assistere ad
una stand-up comedy in alcuni momenti, l’interazione col pubblico è continua,
divertente e sì, anche irriverente. Goldoni è il file-rouge della narrazione perché
in fondo il soggetto è quello di Arlecchino che, preso dalla smania della fame
e deciso a non rimanere a stomaco vuoto, entra a servizio di ben due padroni,
non essendo però un tipo molto sveglio sono molti gli incidenti e le
disavventure che dovrà affrontare per giungere al lieto fine.
Non è una ripetitiva rielaborazione di elementi passati, come
potrebbe sembrare, anzi Favino, insieme al co-regista Paolo Sassanelli, introduce
una novità importantissima: l’ambientazione. Infatti gli eventi si sviluppano
nella riviera romagnola, a Rimini negli anni ’30, precisamente nel 1936 come ci
ricordano un paio di volte gli attori in scena, dunque non più nei palchi settecenteschi
goldoniani, e neppure nell’Inghilterra degli anni ’60.
Elemento fondamentale per trascinare gli spettatori all’interno
di un’epoca non poi così rosea per l’Italia (l’avvento del Fascismo negli anni ‘30
stravolgerà completamente la vita delle persone) è la musica: l’orchestra
Musica da Ripostiglio, un gruppo di artisti grossetani, ci fa vivere con spensieratezza
la grande era della canzonetta italiana, creando l’atmosfera perfetta. Sono proprio
loro che ci accolgono quando ancora le persone stanno cercando posto a
sedere, contrabbasso, banjo, chitarra e batteria attaccano a suonare, rimango
un attimo interdetta dalle continue chiacchiere dei noncuranti che nemmeno si
accorgono della melodia. Musica ancora per intrattenerci nei vari cambi di
scena a sipario chiuso, sentiamo cantare di Maramao, delle gambe delle donne,
della ragazza che vorrebbe avere il fidanzato e di molte altre hit dell’epoca. Durante
queste performance musicali gli attori si cimentano in meravigliosi balli swing
e charleston, in scenette comiche e intermezzi degni di un Carosello.
Appena si alza il sipario colpisce la scena per la ricchezza
dei decori e la precisione filologica della ricostruzione storica: inferriate
art decò, abiti perfettamente in linea con i tempi, nulla è dato per scontato;
riferimenti al Futurismo ci vengono dal promesso sposo di Clarice, Amerigo, che interpreta un attore non proprio eccezionale il quale mira ad esprimersi con l’enfasi teatral-cinematografica
degna di un film muto e promuove l’arte scattante, veloce, in movimento,
assumendo sempre pose assurde e toni esasperati nei discorsi che intrattiene
con chiunque. Il mondo ante guerra italiano ci appare chiaro come se non fosse passato
neppure un giorno, a ricordarci la nostra epoca è invece il discorso di una ragioniera
femminista riguardo al futuro glorioso che (lei pensa) aspetta le donne: diritto di voto,
importanza politica e non più sfruttamento del corpo, ecco cosa vede lei negli
anni a venire ma, ripensando a quanto sentiamo e a come viviamo oggigiorno
sembra quasi sia cambiato poco o nulla.
Come per la versione inglese anche questa commedia prevede il
coinvolgimento del pubblico in due scene e quindi un certo grado di
improvvisazione programmata: la prima volta vediamo Favino-Arlecchino scendere
dal palco e aggirarsi nella platea in cerca di un paio di volontari, alla fine
riesce a reclutare due ragazzi per aiutarlo sulla scena, tanto divertimento e
risate a non finire. La seconda volta si ferma in seconda fila e trascina sul
palco una donna, timida, impaurita, dopo una serie di peripezie durate un quarto d’ora
buono sul palco lei finisce mezza bruciata, coperta di brodo e spruzzata
completamente dalla testa ai piedi di schiuma. L’emozione e la sorpresa di noi
spettatori è alle stelle, mi chiedo se fosse capitato a me come avrei reagito.
Diario delle prove - Le canzoni
Il primo atto si conclude con la ragazza che viene
trascinata fuori da una assistente del retroscena, ma prima, da bravo pubblico onnisciente, prendiamo parte ad un esilarante pranzo nel quale i due datori di lavoro
Rachele (che finge di essere il fratello gemello Rocco, venutole a mancare perché
ucciso dallo spasimante di lei) e Ludovico (amante di Rachele, che ha ucciso
Rocco durante una lite) stanno per essere serviti entrambi da Pippo (Favino),
il punto è che nessuno dei due è a conoscenza dell’altro, e neppure sanno che
il loro fido servitore sta facendo il doppio gioco. Vedendo Pippo uscire ed
entrare dalle sale, affannandosi per consegnare le portate a Rachele e
Ludovico, mangiando nel frattempo una buona parte del cibo, mi è venuta in
mente la scena delle Follie dell’Imperatore quando Kuzco è travestito da donna
e mangia nel ristorante con Pacha, contemporaneamente anche Izma e Kronk
prendono posto in quel locale.
Si riprende con il secondo atto, ancora i nostri musicisti
che ci accolgono con un mash-up di anni ’30 e Michael Jackson e se ne vanno dalla
scena dopo un assolo di bacchette su pavimento, lampione e parete, scivolando lentamente
nel… ripostiglio. Lo scopo adesso di Pippo non è più quello di trovare cibo,
essendosi già lautamente rimpinzato durante il pranzo, bensì di provare a
conquistare la ragioniera Zaira. Ancora tante risate: l’avvocato che imita il
conte Mascetti nello sproloquio senza senso per destabilizzare le convinzioni
della gente, Favino che si mette a parlare in toscano con un accento
impeccabile, un delizioso intermezzo con sipario abbassato che lascia
intravedere le gambe danzanti delle protagoniste, altra canzone terminante in
uno slow-motion dove i musicisti escono di scena suonando a rallentatore.
Essendo una commedia tutto si risolve per il meglio e sulle
note di Baciami Piccina, con un transatlantico contornato da lucine sullo
sfondo, cala il sipario. Le impressioni sia
immediate che postume sono delle migliori: un cast eccezionalmente bravo, due
ore e mezzo che sembrano volare tra risate e canzoni. Mi sono veramente
divertita, in assoluto uno degli spettacoli più simpatici che abbia mai visto,
alla Pergola ed altrove. Tutto è in perfetta sintonia, impossibile rimanere
delusi.
PS: alla fine si scopre che la signora ricoperta di schiuma è
un’attrice del cast, ci saluta anche lei sorridente, in accappatoio durante
gli applausi finali, c’era da immaginarselo!
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