No, non è un docu-noia su come si divertono i primati, è la
traduzione in italiano del nome di una band fiorentina di ragazzi ventenni
pieni di energia: i Monkey’s Party.
Oltre ad aver preso parte a qualche concerto, aver ballato
fino allo sfinimento sulle note di So Much Easy
e aver urlato con loro “Are you a monkey? Enjoy the party!”, li ho
seguiti nella sala prove lo scorso sabato mattina: un garage nel sottosuolo
della periferia fiorentina.
Dopo aver fatto ritardo la mattina, mi son fiondata coi
ragazzi nel bugigattolo, ci siamo sistemati calibrando le distanze per entrare
tutti a mo’ di tetris e finalmente hanno iniziato a suonare: spensieratezza,
allegria e voglia di suonare, questo quello che le melodie mi hanno trasmesso.
Nessun muso lungo, le canzoni sono invece intervallate da riflessioni su note
da cambiare, toni da alzare o da abbassare, ritmi da rallentare ed altri
tecnicismi.
La band allo stato attuale è composta da sette membri che
sono: Alessio Loru e Irene Caschera alla voce, Matteo Milli alla batteria,
Matteo Pini al basso, Alessandro Lonero alla chitarra, Folco Panizza al sax e
Alessio Nuti alle tastiere, lui e la cantante sono gli ultimi arrivati, da
dicembre infatti seguono le prove e, ormai si può dire, sono di casa (o di
garage). I ragazzi, oltre ad aver iniziato facendo cover di canzoni famose, da
subito si sono cimentati anche nella composizione di pezzi e adesso vantano una
bella rosa di brani propri.
Ho avuto l’opportunità di disturbarli con qualche domanda nel
corso della mattinata ed ecco, in breve, cosa è venuto fuori:
Costanza: Monkey’s party, come vi è venuto in mente questo
nome? E soprattutto cosa sta a significare?
Monkey’s Party: La risposta più semplice è che non lo
sappiamo, no, scherzi a parte, si tratta appunto di una festa, un trip di
scimmie, con questo vogliamo dire che le nostre canzoni vi manderanno fuori di
testa, vi faranno ballare, vi faranno divertire, insomma ti puoi “sballare” in
modo sano venendo ad un nostro concerto e divertendoti con noi dall’inizio alla
fine. Il nome inizialmente doveva essere temporaneo, per dare un senso al
progetto di un gruppo che aveva appena iniziato a suonare insieme, e con il
fatidico “ci penseremo dopo” alla fine è rimasto questo, e ce ne siamo
affezionati. Ormai ci rappresenta e…ci garba davvero!
C: Come definireste la vostra musica (se è possibile
catalogarla)? Che genere vi rappresenta di più?
MP: Io lo dico sempre, siamo Pop Rock Funky! (Folco), Dancing
Rock (Alessio Loru), leva il Pop (Matteo Milli), no ecco siamo Pop Funk Rock
(Alessandro). Il fatto è che ci sono varie caratteristiche, sicuramente l’impronta
Funk è imprescindibile, per il resto siamo quello che suoniamo.
C: E nello specifico quali sono i generi musicali che voi
preferite e che vi ispirano?
MP: Jaaaaaz - risponde prontamente il batterista enfatizzando
la “a” - Fusion, Funky, Rock, Disco, Reggae, Pop oltre anche alla Classica.
C: I vostri testi sono tutti in inglese?
MP: Sì, sono tutti in inglese perché così è più facile, se
qualcuno durante un concerto si dimentica le parole la gente di certo non se ne
accorge!
C: Di cosa parlano le canzoni che scrivete?
MP: La sostanza delle parole è quasi tutta denuncia sociale, come
“Banana’s King” ad esempio. In realtà, tranne pochi pezzi pensati per essere
più tranquilli e, se così si può dire, leggeri, pensiamo ad “Are you a monkey?”,
il resto delle nostre composizioni, ad esempio “Rebuild this world” o “Like a
Bird" denunciano e attestano una situazione attuale di disagio in cui si trova
il Paese, il Mondo e noi stessi. Attraverso questa lingua, cioè l’inglese, il
nostro messaggio viene portato al pubblico in maniera più melodica ma pur
sempre diretta, e poi chissà che non si riesca a farci notare da un “esterno”,
tanto più che tra poco vorremo incidere un album. Ci rendiamo conto che in
Italia si dovrebbe scrivere testi in italiano, però per il genere che facciamo
e vedendo come sono accolti dal pubblico altri gruppi simili a noi che non cantano
in inglese, risulta molto difficile andare avanti. Sì, l’inglese è musicale, ma
lo è, forse anche di più, l’italiano, lingua madre per la poesia, poesia che è
metrica e questa è la base della musica (insiste Folco). Rischieresti di cadere
nel banale però cantando in italiano. (commenta infine Alessio Loru).
C: C’è qualcuno in particolare che scrive la musica e le
parole o è un lavoro di squadra? E, come la gallina con l’uovo, nascono prima i
testi o le melodie?
MP: Tutti collaborano, non c’è una regola fissa, molti testi
sono stati composti da Alessio (Loru) e da Alessandro, le melodie hanno
contributi unitari, ognuno partecipa alla stesura di una canzone. Questa nasce
prima di tutto da un’idea singola, e non c’è, anche qui, un modus operandi
prestabilito: a volte si parte dalle parole, altre volte dalle note, "Banana’s King", "One More Shot" e "Are you ok?" (ancora in
fase di lavorazione) sono nate dalla musica, "Like a Bird" e "Maria" invece dal
testo, alla base c’è comunque un’ispirazione, un intento ben preciso. A volte
una melodia viene associata ad un testo da noi già scritto, magari accantonato,
che poi viene scelto perché risulta essere perfettamente calzante con le note
appena composte.
C: Adesso una domanda scomoda: quali sono le prospettive per
una band giovane come la vostra di poter avanzare nel panorama musicale italiano
oggigiorno?
MP: Pensavamo che la domanda antipatica fosse: come mai
abbiamo scelto Irene? - ironizza il batterista. Domanda di riserva? O sei raccomandato
o altrimenti non sperare di proseguire seriamente, comanda chi ha le mani in
pasta e basta. Prospettive? Forse di riuscire a suonare all’ Off Bar. Facendo i
seriosi, come ci hai chiesto, vogliamo al più presto incidere e diffondere il
nostro CD, provando così a farci conoscere in modo più ampio e capillare, il problema
è che il panorama italiano in questo momento è saturo, troppo pieno di
proposte. Oltretutto non ci sono produttori, non c’è nessuno che sia disposto a
scommettere ed investire sul successo di noi giovani, certo grazie ad alcune
strutture di partenza ci danno la possibilità di assaggiare questo mondo, ma
poi non possiamo fare il salto di qualità, nessuno crede in noi. Manca la
continuità, pensiamo ai locali: spesso questi non ti pagano, e se lo fanno è perché
o erano musicisti anche loro o conoscono comunque il sacrificio e gli sforzi
che una band fa, soprattutto se giovane, per continuare a credere nel proprio
sogno.
C: E per concludere, secondo voi qual è il rapporto che ha la
musica con le altre arti?
MP: La musica E’ arte, e quindi ha un rapporto naturale con
le altre compagne, abbiamo già fatto un unplugged per una mostra di fotografia
lo scorso anno, le arti grafiche poi sono ovviamente legate a noi: anche solo
creare la locandina dell’evento è arte. Tanti sono i colpi alla cultura ed è inevitabile
avere a che fare con designer, artisti, ma ancora meglio chiamiamoli creativi,
con i quali intessere rapporti e dialogare.
Le prove son finite e io ho rubato anche troppo tempo a
questi giovani talenti, lasciamo loro con un grosso in bocca al lupo e voi
invitandovi tutti il prossimo giovedì 6 febbraio 2014 al Combo Club per sentire
con le vostre orecchie i Monkey’s Party, parteciperanno infatti ad un contest
dove sarà il pubblico a decidere chi vincerà questa sfida, facciamoci sentire allora
e diamo il nostro supporto a questi ragazzi!
Be a Monkey,
Enjoy the Party!
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