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gennaio 2014, sono in trepidante attesa per l’evento di questo pomeriggio: neanche
il freddo-umido veneziano può fermarmi e a questo incontro voglio assolutamente
partecipare, visto che già mi porto sulla coscienza il peso di quello mancato con
Elliott Erwitt, due anni fa! Passo per caso davanti all’auditorium quando manca
ancora un’ora all’inizio e deduco che sia meglio fermarsi: si è già formata una
folla di fan considerevole! Aspettiamo fiduciosi per un’ora circa, quando finalmente
le porte si aprono ed è ressa per entrare: riesco ad accaparrarmi un posto al
primo piano, da cui si gode di una visione privilegiata!
Cerco
di individuare Salgado tra i presenti:
siede in prima fila con la coppola ancora in testa, attorniato dai giornalisti
e dalle luci dei flash. Penso che per un fotografo professionista dev’essere
buffo trovarsi per una volta “dall’altra parte”: in questo caso è lui ad essere
fotografato e non viceversa; mentre restituisce lo sguardo all’occhio nero e
inespressivo dell’obiettivo sarà forse animato dal desiderio di porsi nuovamente
dietro di esso, per ritrovare la “sicurezza” e la familiarità del proprio ruolo?
Si
spengono le luci e l’evento ha inizio. Dopo il discorso d’apertura tenuto dalla
professoressa Silvia Burini, che esalta
non solo la perfezione formale, ma anche il contenuto morale di cui spesso si
caricano le fotografie di Salgado, quest’ultimo sale finalmente sul palco: è
qui che, intervistato dal direttore dei Tre Oci, Denis Curti, inizia a raccontare la sua storia.
Con
alle spalle una laurea e un dottorato in economia all’Università di Parigi, egli
rifiuta ogni definizione assegnatagli più volte nel corso della sua carriera,
di “fotografo militante, economista o antropologico”: il suo unico intento è
infatti quello di fotografare ciò che profondamente lo stimola e interessa, che sente cioè intimamente vicino alla sua vita stessa.
Da sempre politicamente
schierato a sinistra, il suo desiderio di rendere “omaggio” alla classe lavoratrice culmina nel progetto “La Mano dell’uomo”: frutto di un
lavoro durato 6 anni, questo reportage sui cambiamenti rapidi ed epocali che l’avvento
di computer e “macchine intelligenti” ha apportato all’industria rappresenta una
sorta di archeologia del lavoro
industriale.
La raccolta del thè vicino a Cyangugu, Rwanda (1991) |
Il
secondo progetto al quale lavora per circa 7 anni è “In Cammino”, una testimonianza importante delle migrazioni forzate che hanno interessato alcune
popolazioni in particolare, vuoi per l’abbandono sempre più massiccio delle
campagne verso i centri urbani, vuoi perché causate da guerre e conflitti
interni. Le terribili brutalità e i genocidi a cui assiste, e di cui intende
farsi denunciatore, generano in lui una radicata sofferenza che oltre ad essere
psicologica è anche fisica: Salgado medita la decisione di abbandonare del
tutto la fotografia.
Torna
in Brasile e inizia a fare l’agricoltore nella fattoria di famiglia; questo
reincontro con la terra d’origine lo porta tuttavia ad effettuare un drammatico
paragone tra le condizioni passate
dei luoghi delle sua infanzia e lo stato attuale delle cose: ricorda che quando
era bambino la foresta tropicale ricopriva il 60% del territorio, oggi lo 0,5%.
“L’uomo lascia dietro di sé il deserto.”
Con
la moglie Lélia, immancabile accompagnatrice
e fedele sostenitrice del marito, fonda nel 1998 l’Istituto Terra e insieme perseguono l’obiettivo di ripiantare 2
milioni di alberi. È così che Salgado ricomincia: dando spazio alla vita dopo tanta distruzione. L’opera di
riforestamento ha come conseguenza il ritorno di molte specie animali; dinanzi
a questa ripresa e ricrescita della natura, torna la voglia di fotografare.
Lélia e Sebastião |
Desidoroso
di poter ammirare la bellezza del mondo
così come il mondo stesso l’aveva creata in
origine, libera cioè di ogni corruzione umana, viaggia per 8 anni alla
ricerca dei luoghi ancora incontaminati
del globo, dalla vita naturale ancora intatta. Questa esperienza, che culmina
nel progetto “Genesis” gli permette
di scoprire e approfondire il legame che vige tra mondo animale, naturale e
minerale.
La
sua speranza è quella di poter suscitare in tutti noi un maggior senso di
rispetto e un desiderio di ricostruzione e protezione nei confronti della natura.
“L’uomo è un animale che ha abusato
enormemente della terra. Abbiamo costruito una società folle dal punto di vista
del consumo.”
Si
potrebbe erroneamente intravedere in “Genesis” un’attenuazione del fervore
politico che ha sempre animato Salgado anche nei lavori precedenti, ma, come egli
stesso sottolinea, non è affatto così: è, anzi, forse il più “politicante” fra
tutti, perché ci riguarda in prima persona, senza distinzione di credo o
schieramento politico; il suo intento è quello di creare una discussione, di
farci rendere conto che ogni nostra azione comporta un effetto e che dobbiamo
vivere sapendo di essere parte integrante della natura.
Durante
l’incontro vengono proiettate come anteprima della mostra 140 immagini,
accompagnate dalle musiche di Jonathan
Elias (tratte da “The Prayer Cycle”:
l’album si può ascoltare anche su Spotify e ve lo consiglio caldamente):
rigorosamente in bianco e nero, le trovo bellissime, ma, forse complici le
grandi dimensioni dello schermo, mi sembrano fredde ed eccessivamente
monumentali. Certo incutono un senso di reverenza verso la maestosità della
natura, ma fino a che punto riusciranno a coinvolgere lo spettatore? Creeranno
compartecipazione o distanziamento? Portando con me questi interrogativi,
sabato 1 febbraio mi reco subito alla mostra appena inaugurata, impaziente di
essere smentita: per fortuna è stato così!
Vi lascio in sospeso e vi do appuntamento a venerdì prossimo per raccontarvi "Genesis" più nel dettaglio!! Qui sotto potete trovare il video completo della conferenza e l'indirizzo del sito dell'Istituto Terra.
http://www.institutoterra.us/
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